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RESIDENZA MUNICIPALE - Inaugurazione venerdì 6 novembre alle 17 nel salone d'Onore. Liberamente visitabile fino al 23 novembre

"e Beltrame disegnò la Grande Guerra...Lasciaci in silenzio", in mostra immagini e parole

04-11-2015 / Giorno per giorno

Verrà inaugurata venerdì 6 novembre alle 17 nel salone d'Onore della residenza municipale la mostra "e Beltrame disegnò la Grande Guerra....... seconda sezione Lasciaci in silenzio". L'iniziativa (che resterà allestita e liberamente visitabile fino al 23 novembre) è promossa per celebrare il Centenario della Prima Guerra Mondiale da Istituto di Storia Contemporanea, ANMIG (Associazione Nazionale fra Invalidi e Mutilati di Guerra) sezione di Ferrara e Comune di Ferrara. La prima tranche della mostra "e Beltrame disegnò la Grande Guerra..... Social network a confronto: illustrazione ("La Domenica del Corriere", Italia) e fotografia ("Le Miroir", Francia), ("Illustrierte Kriegs - Zeitung - Das Weltbild", Germania)" era stata organizzata dal Museo del Risorgimento e della Resistenza presso il Museo stesso nel periodo 14 febbraio - 8 marzo 2015.

"Questa seconda parte dell'allestimento nasce grazie alla disponibilità di Anmig che possiede l'intera collezione della "Domenica del Corriere" del periodo 1915-1918. - ha ricordato la presidente dell'Istituto di Storia Contemporanea Anna Maria Quarzi - Abbiamo così potuto scegliere tra le tante e bellissime immagini realizzate da Achille Beltrame per percorrere il filo della tragedia che ha caratterizzato la Grande Guerra, raccontare le immani fatiche dei suoi protagonisti, gli orrori e il dolore fisico. Il tutto accompagnato dalle parole e dai sentimenti di grandi autori che a questa barbarie si opponevano."

 

(Testo a cura di Anna Maria Quarzi e Matteo Bianchi)

E Beltrame disegnò la Grande Guerra seconda sezione Lasciateci in silenzio «Edizione della sera! Della sera! Della sera! / Italia! Germania! Austria!», attaccava così l'emblematica lirica di Vladímir Majakóvskij, con la stessa foga sensazionale con cui gli interventisti strillavano in piazza, con cui scagliavano le parole nella mischia per aizzarla. Il poeta russo, che non era affatto d'accordo, vi si opponeva per evitare che gocciolassero ancora «lacrime di stelle come farina in uno staccio» da quelle insensate baionette. La Grande Guerra fu un lutto planetario, perciò l'afflato degli intellettuali che replicarono in direzione ostinata e contraria fu altrettanto esteso. Parimenti, e al contempo per fare il verso al cartaceo sotto i riflettori della Residenza Municipale, è stato deciso di intitolare la seconda tranche dell'esposizione dedicata alle tavole firmate da Achille Beltrame con un'invocazione reboriana: Lasciaci in silenzio, in negativo mirata alla guerra che non deve più attecchire nell'animo dell'essere umano e, in positivo, diretta alla pace. La prima sezione della mostra è stata organizzata dal Museo del Risorgimento e della Resistenza tra gli scorsi febbraio e marzo: E Beltrame disegnò la Grande Guerra. Social network a confronto: illustrazione ("La Domenica del Corriere", Italia) e fotografia ("Le Miroir", Francia, e "Illustrierte Kriegs - Zeitung - Das Weltbild", Germania). Una speranza tradita a qualsiasi ora da qualsiasi telegiornale, la pace mondiale, un'utopia che si rafforza attraverso il deposito spirituale degli autori selezionati: insieme alle copertine che il famoso illustratore realizzò per il settimanale del "Corriere della Sera" dal 1915 al 1918, appaiono sia in prosa sia in poesia le testimonianze di chi fu trascinato nell'oscurità delle trincee. Un'oscurità che, come ogni radicata contraddizione umana, veniva illuminata a giorno e di continuo dai cannoni. A tal punto che Montale nella sua alienata Valmorbia la stigmatizzò nel verso memorabile: «Le notti chiare erano tutte un'alba». Ma non fu l'unico Nobel a esprimersi di persona sul conflitto. Pirandello, dal canto suo, indossò la maschera esistenzialista di Federico Berecche per affermare che «ora l'incubo della distruzione generale, che spegnerà ogni lume di scienza e di civiltà nella vecchia Europa, gli si fa su l'anima più grave ed opprimente quanto più egli s'affonda nel bujo della via remota e deserta, sotto la quadruplice fila dei grandi alberi immoti». Mentre i pioppi regali ai lati dello stradone che ricordava Aldo Spallicci, fungevano da silenzioso baluardo della natura, del ritmo biologico. I versi sanguigni del romagnolo sono entrati nella scelta dei curatori a fianco del veneto di Giacomo Noventa, meritando entrambi uno spazio in rilievo per l'energia estemporanea del vernacolo, ma soprattutto per il lascito di esperienze che raccoglie nei singoli vocaboli, irriproducibile in altro modo. Di quello che in trincea si avvicinò a delle abitudini, se ne occupò a fondo Freud, sebbene lo studio dell'errore globale e dei suoi effetti clinici non servì a non replicarlo dal '39 al '45. Secondo il padre della moderna psicanalisi, la quotidianità svanì dentro quelle strettoie che soffocavano, favorendo l'affanno e restringendo il campo visivo; perciò, calando la preminenza della vista, l'udito divenne il senso principale per ripararsi dal fracasso delle bombe e dal fuoco nemico. «Anche le sequenze temporali tipiche della vita civile perdono senso: il succedersi del giorno e della notte, il ciclo settimanale, il passaggio da una stagione all'altra che regolano le attività di lavoro e riposo cedono il passo a una logica diversa, basata sulle necessità militari e lontanissima dalle abitudini normali», motivava il medico tedesco, che utilizzò per avviare la sua ricerca i taccuini e i diari che calmavano le lunghe attese divoranti. Alcuni esemplari, difatti, sono parte integrante della mostra, specie il recupero integrale della lettera inedita di Enrico, caporale ferrarese. Ecco, allora, che dilagava lo smarrimento e, di conseguenza, le nevrosi, essendo loro obbligati a rivolgersi a qualcosa di "altro" e altrove, superiore al fallimento civile e a una barbarie che gli aveva riportati a proteggersi nei boschi, quasi fossero animali spaventati in preda all'istinto. La disperata desolazione interiore viene raffigurata con intensità dal giovane Ungaretti de L'allegria (1931), che identifica quello che "sente" con l'aridità del Carso e un girovagare senza santi: «Ma nel cuore / nessuna croce manca / è il mio cuore / il paese più straziato». Sui pannelli in esposizione il suo sconforto di fronte alla dura e fredda pietra del monte San Michele trova un interlocutore d'eccezione nel vivido Gadda poeta. Lasciaci in silenzio, da non aver preso in considerazione, durante la curatela, le scene di repressione e di rappresaglia; bensì i frangenti di fatica e di sofferenza, come le infermiere che dagli ospedali adattati alle circostanze, imbracciavano i fucili per aiutare i soldati a resistere, o nell'impiego sprezzante degli animali. Le maschere a gas, imposte persino ai cani da esplorazione e ai cavalli da carica, nonché gli elmetti metallici furono simboli di una guerra distruttiva dove non c'era spazio per il valore individuale e la tecnologia era diventata lo strumento dell'annullamento comune. Non a caso e nei riguardi di una comunità sepolta, Ardengo Soffici spiegava: «La guerra mi ha insegnato tante cose. E, prima tra tutte, che noi artisti eravamo su una falsa strada, quando ci racchiudevamo nell'élite intellettuale senza guardare altro che la nostra strada, senza pensare che al nostro io». Quindi permise un'evoluzione interiore a coloro che compresero il conflitto non avesse risolto il problema economico e sociale da cui era esploso, ma avesse solo reso l'esistenza più precaria, come testimoniano le visioni del triestino Slataper dal campo di battaglia. La necessità di rinnovate fondamenta morali, di una riparazione collettiva provenne proprio dalla scrittura e da chi - senza precipitazioni - impugnava una penna per educare. La nostra Alda Costa, più che mai attuale, si distinse in un'intervista asserendo che «questa povera anima di fanciullo è ormai insidiata da immagini di violenza e di sangue. Tutto parla alla mente del fanciullo della follia e della violenza», talmente che l'insegnante se la prese pure con le incisioni de "La Domenica del Corriere", le medesime esposte di seguito. Una voce tanto intransigente quanto integerrima, che intendeva favorire «quei sentimenti di vera fratellanza che dovranno pure un giorno governare il mondo». 

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