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Ad Auschwitz e Birkenau nei giorni della memoria

08-02-2007 / A parer mio

di Oscar Ghesini

Jachimowicz Jakob era nato il 27 luglio 1913 ed è morto il 6 Aprile 1944; Lustmann Hirsz era nato il 27 aprile 1901 ed è morto il 16 marzo 1943; Anderman Leo, nato il 25 dicembre 1895, è morto il 6 Novembre 1941; Wilhelmi Rolf era nato il 18 Maggio 1921 ed è morto il 29 Marzo 1942; e poi c'è Eleonora Zayac, con i suoi occhi tristi; perché non dovrei ricordarvela? È morta il 16 Novembre 1941; e Maria Fleck, morta il 2 dicembre 1942: oggi avrei voluto parlarvi del suo volto. E del volto di decine di altri ancora dovrei ora raccontarvi, se avessi il coraggio di andare fino in fondo: poiché non si dovrebbe trascurare la descrizione di uno solo di quei volti rasati e vilipesi, fuoriuscenti da un'anonima casacca a righe, le cui fotografie sono appese alle pareti dei blocks di Auschwitz; né omettere il collettivo ricordo delle centinaia di altri, delle migliaia di altri, delle decine di migliaia di altri esseri umani che il loro volto non ce l'hanno tramandato, perché sono entrati nel lager dal 1943, quando le SS, per il massiccio numero di arrivi, smisero di scattare le fotografie degli internati e si limitarono a immatricolarli tatuandone il numero sulla pelle: queste persone dal volto noto e queste persone oggi senza volto compongono, ciascuno con il proprio vissuto di una deportazione che lacerava gli affetti e annullava identità e dignità, il milione e duecentomila morti dei campi di Auschwitz e di Birkenau; addirittura quattro milioni secondo alcune fonti, poiché chi dalle selezioni finiva direttamente nelle camere a gas non veniva iscritto nei registri del campo e dunque la contabilità dei decessi risulta impossibile: ma la maggior parte di loro, questo è certo, è uscita dai lager per il camino dopo che gruppi di altri prigionieri, i cosiddetti Sondernkommad, prelevandone i corpi dalle camere a gas li inceneriva nei forni crematori. Ebrei di ogni nazionalità, prigionieri di guerra, tedeschi oppositori del nazismo, antifascisti, zingari, omosessuali, mendicanti, storpi, malati di mente, delinquenti comuni: la macchina nazista dello sterminio si organizzò con implacabile efficienza per tutti costoro.
Il Konzentrationslager di Auschwitz I, in cui sono ancora oggi visibili la camera a gas ed i forni crematori, iniziò a funzionare dal Giugno del 1940 nei pressi della cittadina polacca di Oswiecim, in territorio annesso al terzo Reich: i tedeschi vi internarono dapprima prigionieri russi e polacchi, e dal 1942 ebrei e zingari da tutta l'Europa. Qui, nei sotterranei del tristemente famoso blocco 11, ribattezzato "il blocco della morte", il 3 Settembre 1941 avvennero i primi esperimenti di gassazione con l'acido cianidrico Ziklon B su 600 prigionieri di guerra russi e 250 polacchi; i prigionieri più lontani dal punto di immissione del gas sopravvissero alla prima ondata venefica, in quali condizioni è facile intuire, e dovettero perciò essere gassati due volte. In questo blocco vi sono celle in cui le SS esibivano la loro crudeltà con torture di medievale ferocia: sono ancora visibili le Stehzelle, loculi, con altro nome non sapremmo indicare simili stanzette, di 90 x 90 centimetri e privi di luce: i prigionieri vi accedevano da una porticina bassa, carponi come i cani, si rialzavano e non era loro più consentito sedersi perché gli aguzzini vi stipavano insieme quattro esseri umani. Ad Auschwitz I dunque non si moriva solo nella camera a gas: ad onta della beffarda scritta "Arbeit macht frei" ("Il lavoro rende liberi") che accoglieva i deportati sul portone d'ingresso, si poteva soccombere di sfinimenti proprio per la durezza delle occupazioni svolte in condizioni di schiavitù nella vicina area industriale, oppure per fame, bastonature, punizioni di ogni tipo, fucilazione, esperimenti, iniezioni al cuore di fenolo, epidemie. Terrificante constatare sotto i nomi e i volti dei deportati, per ciascuno, la breve distanza cronologica fra la data di ingresso al campo e quella del loro decesso: uno, due mesi appena, poche settimane di più in casi sporadici. Un luogo dell'orrore, Auschwitz, che contrasta con la elegante estetica dei blocks, casette in muratura a pietravista e masonite a tre piani, non baracche in legno, nelle quali sono oggi conservate le prove materiali di tanto scientifico abominio: sono visibili infatti, in apposite teche, accatastamenti di valige, di occhiali, grucce, capelli, vestiti (anche quelli dei bambini), scarpe, pentole, lampade, fornelletti da cucina, spazzolini da denti: era tutto ciò che i deportati portavano con sé e di cui venivano razziati all'ingresso in lager: il materiale, selezionato da altri prigionieri in appositi magazzini, veniva poi spedito a diverse organizzazione hitleriane e agli stabilimenti tedeschi. Il lager, che racchiudeva circa ventimila prigionieri in rapido ricambio (si stima che ve ne siano transitati, complessivamente, 400.000), era cintato da torrette di guardia e da un doppio reticolato percorso dalla corrente elettrica (anche tutto ciò è perfettamente visibile) su cui non di rado, per sentirsi finalmente liberi, andavano a gettarsi volontariamente gli haftlinge, i prigionieri di Auschwitz.
Nel 1941, a tre chilometri di distanza dal primo lager, le SS dettero inizio alla costruzione di un secondo campo più tardi chiamato Auschwitz II - Birkenau: un lager deputato alla 'soluzione finale' degli ebrei. Birkenau fu infatti un autentico Vernichtungslager (campo di sterminio), dotato di quattro camere a gas e venti forni crematori. Colpisce, varcando la bassa casamatta di ingresso di questo lager sormontata dalla torretta centrale sotto cui transita la ferrovia (una costruzione resa ormai familiare dalla cinematografia), l'immensità del campo: chilometri di filo spinato cingono uno spazio piano del quale non si scorgono i confini né di fronte, dove erano ubicate verso il fondo le camere a gas, in prossimità di un bosco di betulle tuttora esistente ('Birke' in lingua tedesca significa proprio 'betulla'), né a destra né a sinistra: uno spazio enorme, che racchiudeva in ruvide baracche di legno 100.000 internati utilizzati per il lavoro coatto, anch'essi in rapido ricambio: un lager nelle cui camere a gas trovarono la morte migliaia di persone ogni giorno, fino a 9.000 nell'agosto del 1944, in seguito all'azione nazista contro gli ebrei d'Ungheria; uomini, donne, bambini, anziani, tanti esseri umani di cui il terreno di Birkenau nasconde ancora la cenere. Dei convogli che si arrestavano nel lager di Birkenau, più del settanta per cento dei deportati che scendevano sulla rampa venivano avviati immediatamente alle camere a gas: si mentiva loro dicendo che sarebbero entrati in doccia; gli altri ne avrebbero condiviso la sorte dopo qualche settimana di permanenza per lo sfruttamento delle loro energie fisiche: e costoro si sarebbero avviati alle camere a gas avendo piena coscienza della sorte che li attendeva.
Sapere oggi che meno del dieci per cento di quanti furono internati a Birkenau è riuscito a sopravvivere, immaginarsi cosa doveva essere quel luogo poco più di sessant'anni orsono, constatare l'animalesco alloggiamento dei deportati nelle baracche, saperli vestiti di casacche di tela negli impossibili inverni polacchi, e aggrediti d'estate da virulente epidemie di tifo e difterite: è qui che la mia misura si è colmata, e mi sono vergognato di appartenere al genere umano cui appartennero gli aguzzini di Birkenau. Che, messi in rapida fuga dall'avanzare dell'esercito russo nel Gennaio del 1945, distrussero quanto più poterono delle prove dei loro massacri senza però completare l'opera: sicché di Birkenau restano ancora in piedi alcune baracche del settore femminile, mentre del maggior numero nella zona maschile, la più vasta, non ne sono visibili che le fondamenta: anche le quattro camere a gas ed i crematori sono soltanto cumuli di macerie.
Sorge oggi, nei pressi del boschetto di betulle accanto ai feroci camini di un tempo, il monumento internazionale alle vittime dello sterminio; cinquecento studenti della provincia di Modena e cinquanta loro accompagnatori, partiti nei giorni scorsi da Carpi con un treno speciale organizzato dalla fondazione dell'ex campo di Fossoli, si sono dati appuntamento in quel luogo il 28 Gennaio per una fiaccolata in memoria, insieme al ministro della pubblica istruzione Fioroni. A ritroso, dalle macerie dei forni all'ingresso di Birkenau, camminando in fila indiana lungo la ferrovia interna al lager, si è snodata così la lunga colonna dei nostri giovani di buona volontà. Sulla punta delle loro fiaccole, battute dal vento dei Carpazi, si è cementata la promessa di una giovane generazione impegnata a costruire un futuro di pace.